Analisi e Commenti sino al 2022

Il Piano di Zona ex artt. 8 e 19 della legge 328/2000 e raccordo con l’art.14 (progetti individualizzati) della stessa legge.
 

La Legge 328/2000 intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” all’art. 19 (capo IV) sancisce che i Comuni associati, negli ambiti territoriali di cui all’art. 8, comma 3, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell’ambito delle risorse disponibili, a definire il piano di zona.

Natura, compiti, istituti giuridici ed organizzazione del pdz.

Il piano di zona è lo strumento di programmazione di ambito locale della rete d’offerta sociale, che ha il compito di definire le priorità di intervento e gli obiettivi strategici, le modalità, i mezzi e le professionalità necessari per la realizzazione del sistema locale degli interventi e servizi sociali, con l’invito a valorizzare tutte le forme di solidarietà presenti nell’ambito territoriale e promuovendo la cittadinanza attiva.

È uno strumento di programmazione territoriale concertata e partecipata, infatti, gli attori coinvolti in questo processo sono molteplici: Comune, ASL, Provincia (oggi Città metropolitana), Terzo Settore, soggetti espressione dell’associazionismo, cittadini che intendono contribuire al processo di elaborazione del piano, istituzioni scolastiche e della formazione.

Il piano di zona viene adottato attraverso l’accordo di programma, con il quale i soggetti coinvolti si assumono la responsabilità di realizzare quanto è stato concordato insieme. Attraverso la realizzazione del piano si intende assicurare risposte ai bisogni dei cittadini definendole attraverso il dialogo tra gli enti pubblici del territorio ed i soggetti che in quel territorio gestiscono servizi e promuovono iniziative civiche di natura sociale.

Per predisporre il piano di zona bisogna individuare l’insieme di soggetti chiamati alla definizione partecipata di esso e per fare ciò operano in collaborazione due organismi, ovvero il tavolo di coordinamento politico istituzionale, composto da una rappresentanza dei sindaci del territorio con il compito di individuare le priorità e le strategie d’intervento, di definire e destinare le risorse e di verificare, successivamente, le azioni svolte in rapporto alle indicazioni fornite, valutandone i risultati; ed il tavolo tecnico, che ha funzioni di regia operativa del processo di elaborazione del piano, di coordinamento dei diversi attori e di monitoraggio e valutazione del processo, nonché di consulenza tecnica al processo decisionale.

In seguito, vengono raccolti i dati sulla domanda e offerta dei servizi attraverso gruppi di lavoro che analizzano punti di forza e criticità. Infine, si dovranno definire obiettivi, contenuti e realizzare il documento di piano. È in questa fase che si costruisce il piano di zona in senso stretto, ossia il documento contenente le indicazioni sullo scenario futuro dei servizi, da assumere attraverso l’accordo di programma.

I contenuti di tale documento sono: la descrizione del contesto socio-economico del territorio, l’analisi della domanda e dell’offerta di interventi sociali; la definizione delle priorità e degli orientamenti da seguire per le varie aree d’intervento; i servizi socio-sanitari che verranno utilizzati per le aree tematiche; le modalità di gestione dei servizi (esternalizzazione, accreditamento), la formazione e aggiornamento degli operatori, la gestione del piano di zona e la sua valutazione; le risorse finanziarie; il programma di attuazione (azioni, soggetti coinvolti, tempi).

Gli strumenti adottati per la programmazione del piano di zona sono, la conferenza di piano che è il contesto in cui si incontrano tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione ed è finalizzata all’informazione, partecipazione e coordinamento di tutta l’attività amministrativa funzionale alla stesura dell’accordo di programma. I tavoli di concertazione che sono le sedi dove si realizza la programmazione e progettazione del piano di zona, e possono essere articolati in aree tematiche (anziani, disabili, minori, immigrati, povertà).

Inoltre, l’accordo di programma, specifico strumento giuridico, che è l’atto politico di formalizzazione degli impegni assunti nel processo di stesura del piano da parte di tutti gli attori coinvolti e che viene sottoscritto dai rappresentanti degli enti che vi partecipano.

Infine, l’ufficio di piano il quale è un organismo tecnico-gestionale, che opera in accordo con l’organo di rappresentanza politica, cui competono la rilevazione e valutazione dei bisogni, l’attivazione dei tavoli di concertazione e la stesura definita del documento di piano.

A tutte le attività necessarie ed al buon funzionamento di questo Ufficio provvede il responsabile dell’Ufficio di piano al quale viene affidata al quale vengono affidati compiti di direzione e di coordinamento. Viene nominato con atto del sindaco del Comune capofila, su designazione del Comitato dei sindaci, tra i dirigenti o personale con posizione organizzativa strutturato in uno dei Comuni facenti parte del DSS. Il suo incarico dura tre anni, fino a nuova nomina del successore.

Delle risorse

Per la realizzazione di tutto ciò, è previsto un apposito Fondo Nazionale per le Politiche Sociali attraverso cui lo Stato ripartisce le risorse del fondo nazionale, le Regioni a loro volta ripartiscono il finanziamento assegnatogli verso i Comuni, i quali hanno a carico la spesa di attivazione dei servizi sociali e degli interventi volti a favorire il benessere dei singoli in stato di bisogno e della comunità.

Il pdz 2018-2020

Con i Piani di Zona 2018-2020 (FNPS 2016-2017-2018 e 2019), i distretti socio-sanitari hanno programmato interventi in favore dell’Area dell’Infanzia e dell’Adolescenza intervenendo principalmente in ambito domiciliare con interventi di educativa e di mediazione e in ambito scolastico a supporto prioritariamente dei minori con disabilità, in una logica di inclusione e pari opportunità. Sul piano della residenzialità dei minorenni fuori famiglia, la Regione Siciliana interviene con propri fondi per sostenere i costi delle comunità alloggio per minori sottoposti all’Autorità Giudiziaria nell’ambito delle competenze civili e amministrative. Al riguardo l’offerta residenziale é garantita dalle comunità alloggio per minori iscritte all’albo regionale (ex art. 26 l.r.22/86) e gestite dal Terzo Settore. Sempre a supporto dei minori e delle loro famiglie in ambito regionale sono state avviate diverse iniziative, quali: ampliamento dell’offerta di asili nido, micro-nidi e dei spazi gioco, a valere sui fondi PNSCIA e Fondi nazionali; erogazione del bonus bebé e/o voucher prima infanzia per le madri lavoratrici; supporto e riorganizzazione dei Centri per la famiglia (attualmente 7 operativi); interventi per i caregivers, con progetti sperimentali avviati in due distretti socio- sanitari con Comuni capofila Messina e Palermo; progetti sperimentali denominati “Percorso di Educazione alle emozioni” presso alcuni istituti scolastici; interventi di sostegno alle famiglie attraverso contributi rivolti a consultori, istituzioni scolastiche, oratori e associazioni di solidarietà familiare per il sostegno alle relazioni familiari ed alle responsabilità educative (legge regionale n. 10 del 31/07/2003).

Inoltre, è stato istituito di recente presso il Dipartimento Famiglia e Politiche Sociali il registro dei “Comuni amici della famiglia” che mira a sostenere e valorizzare la famiglia come risorsa del territorio. In aggiunta ai suddetti interventi la Regione ha promosso l’iniziativa di sostenere la realizzazione di parchi gioco comunali inclusivi, in osservanza dei principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione, della legge 8 novembre 2000, n. 328, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e della Convenzione ONU sui diritti del bambino. Oltre all’installazione dei giochi e all’adeguamento delle relative aree interessate dagli stessi, è stato previsto anche l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle aree del parco o giardino con l’individuazione almeno di un itinerario a norma, collegato con le aree di parcheggio e i servizi igienici adeguati anch’essi a norma.

La Regione Siciliana aderisce dal 2013 al programma P.I.P.P.I. il quale persegue la finalità di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie cosiddette negligenti al fine di ridurre il rischio di maltrattamento e il conseguente allontanamento dei bambini dal nucleo familiare, articolando l’intervento in tre aree: sociale, sanitario ed educativo-scolastico. L’intervento viene realizzato tenendo in ampia considerazione la prospettiva dei genitori e dei bambini stessi nel costruire l’analisi e la risposta a questi bisogni.

Il pdz 20201-2023

La Regione Siciliana con deliberazione n.249 del 10 Giugno 2021, ha approvato le Linee guida per la programmazione del Piano di Zona 2021 il quale si inserisce in un contesto profondamente cambiato dall’attuale emergenza COVID 19 che ha inciso sui sistemi sociali, economici e sulla quotidianità della popolazione. La crisi ha coinvolto e continua a colpire tantissimi settori lavorativi, tantissimi nuclei familiari in particolare le fasce più vulnerabili ed anche il settore non profit a causa dell’interruzione degli interventi socio-assistenziali, incidendo negativamente sulla quotidianità dei destinatari ovvero disabili, minori, anziani, donne vittime di violenza, ecc.

L’obiettivo generale è quello di sostenere la popolazione attraverso procedure più efficienti e sostegni più efficaci. Partendo proprio dall’emergenza che stiamo affrontando, il nuovo Piano di Zona prevede un’integrazione proprio per sostenere i costi per l’acquisto dei dispositivi di protezione e per l’adattamento degli spazi in modo da riprendere gli interventi socio-assistenziali non aggravando ulteriormente gli enti gestori o le famiglie stesse già in stato di bisogno.

L’art.14 della legge 328/00 trova applicazione nell’ambito del pdz.

Alla luce dei servizi avviati in precedenza (pdz 2018/20) e tenuto conto dell’attuale situazione di emergenza sociale, le linee di intervento da inserire nel Piano di Zona sono il rafforzamento degli interventi e/o servizi nell’area dell’infanzia e dell’adolescenza, con particolare attenzione ai minori che vivono in condizioni di grave disagio economico; il rafforzamento delle politiche sociali territoriali in favore degli anziani, volte a contrastare le conseguenze socio-economiche determinate dalla pandemia, attraverso servizi di assistenza domiciliare e interventi volti a promuovere l’invecchiamento attivo; il rafforzamento del sistema socio-sanitario, attraverso la definizione di piani personalizzati in una logica integrata ex art. 14 della legge 328/2000 e ex art. 21 e segg. del DPCM 12 gennaio 2017, erogando, in esecuzione di detti progetti individuali, le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di competenza; il rafforzamento della struttura distrettuale deputata alla programmazione, gestione e valutazione dei Piani di Zona attraverso il rafforzamento del Servizio Sociale Professionale e del Segretariato Sociale (servizi base previsti nella l.r. 22/86); l’incentivo del personale inserito nell’istituendo Ufficio Piano.

Per realizzare la piena integrazione delle persone con disabilità ex art.14 della l.328/2000 i comuni, d’intesa con le ASL, predispongono un progetto individuale che comprende la valutazione diagnostico-funzionale, prestazioni di cura e riabilitazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale, servizi alla persona a cui compete il Comune in forma diretta o accreditata con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, e misure economiche per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individualizzato vengono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.

Le linee guida per la programmazione del Piano di Zona 2021/2023, in attuazione dei progetti individuali, richiamano quanto previsto all’art.3 comma 2 della l.r. 8/2017 che elenca le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria che dovranno essere inserite nel Piano Assistenziale Individuale (art. 14 l. 328/2000) in risposta ai bisogni di natura socio-assistenziale espressi dalla persona:

-prestazioni a carattere domiciliare, semiresidenziale e residenziale, di inserimento sociale e lavorativo e ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale nel Piano Assistenziale Individuale ovvero nel budget di salute del Programma Terapeutico Individuale, in conformità alla vigente normativa.

Per un’attenta definizione del Progetto di Assistenza Individuale, i Comuni hanno l’obbligo di rafforzare la propria partecipazione all’interno dell’Unità di Valutazione Multidimensionale integrata, con figure professionali adeguate alle azioni di protezione sociale da definire in relazione al profilo della persona da valutare.

La presenza del Comune costituisce un presupposto necessario laddove la Persona con disabilità esprime bisogni anche di natura socio-assistenziale e per i quali vanno individuate prestazioni sociali a rilevanza sanitaria. Sarà dunque compito del distretto socio-sanitario, partendo dai Livelli Assistenziali (LEA) vigenti in Sanità (D.P.C.M. 2001 e D.P.C.M. 2017) e dal Decreto Inter-assessoriale 2017, promuovere, d’intesa con le altre istituzioni (sanitarie, scolastiche, formative, lavorative), progetti personalizzati in grado di offrire risposte mirate ai bisogni espressi dalla persona con disabilità lieve, grave e gravissima, in una logica di inclusione e piena partecipazione sociale.
                                                                                                                               Dott.ssa Ilaria Falliti

 

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Risposta ad interpello n. 454 del 1° luglio 2021 – aliquota iva agevolata per l’acquisto di autovettura uso promiscuo


Con la risposta n. 454 del 2021, è stato chiarito che un portatore di handicap che acquista un’autovettura da utilizzare anche nello svolgimento dell’attività professionale (uso promiscuo), avendo i presupposti per beneficiare dell’aliquota IVA agevolata del 4%, può richiedere al cedente l’emissione della fattura con l’indicazione della partita IVA per detrarre l’imposta.

Ciò in considerazione che le disposizioni che disciplinano il diritto alla detrazione dell’IVA, non sono inconciliabili con le norme agevolative a favore della disabilità.

La detrazione può essere esercitata nella misura del 40%, ai sensi dell’art. 19- bis1, lettera c) del DPR n. 633 del 1972, a condizione che sussista un nesso di “strumentalità” tra l’acquisto del bene e lo svolgimento dell’attività lavorativa – nel senso che il bene sia necessario per lo svolgimento dell’attività stessa – non rilevando la circostanza che l’IVA sia stata applicata con aliquota ordinaria o agevolata.

La risposta n. 454 del 2021 è disponibile per la consultazione nel sito www.agenziaentrate.gov.it

                                                                                                                      Sergio Damiani


La normativa sul caregiver familiare
 

In parlamento sono stati presentati tre diversi disegni di legge per “istituzionalizzare” la figura del care giver familiare (DDL 2266/2016 Angioni; 3527/2016 Patriarca; 3414/2015 Iori), poi conglobati in un unico disegno di legge presentato al Senato nel 2019 (DDL n.1461 prima firmataria Senatrice Nocerino), frutto della collaborazione di maggioranza e opposizione, che ad oggi, però, ancora non è stato tramutato in legge.

Pertanto, ancora, non vi è una legge statale che regolamenti compiutamente tale figura.

Allo stato vi è soltanto la “definizione” di caregiver contenuta nel comma 255 della legge 27 dicembre 2017 n. 205 (legge di bilancio 2018): “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermita’ o disabilita’, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di se’, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua 2 di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18.”

Appare utile ricordare quanto segue.

“Unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76”.

La legge n. 76 del 2016 ha regolamentato le unioni civili e le convivenze di fatto, anche tra persone dello stesso sesso, estendendo ad esse alcune prerogative spettanti ai coniugi.

L’unione civile, considerata “formazione sociale” ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione, avviene mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni, mentre sono considerati conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e coabitanti o aventi dimora abituale nello stesso comune.

“articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104”(Handicap grave)

L’handicap grave si profila come riduzione dell’autonomia personale, anche correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.

“titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18.”

La legge n. 18/1980 ha disciplinato l’indennità di accompagnamento quale sostegno economico a carico di risorse statali erogate dall’Inps in 12 mensilità, indipendentemente dal reddito del beneficiario e in regime di esenzione fiscale, corrisposto a persone per le quali viene accertato uno stato di totale invalidità o incapacità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore.

Quella sopra riportata è la stesura vigente del comma 255, ma il predetto DDL 1461 prevede di sostituire tale comma con il seguente:

“ 255. Si definisce caregiver familiare la persona che gratuitamente assiste e si prende cura in modo continuativo del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, anche oncologica, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980 n. 18”.

Sempre con la legge 205 del 2017 è stato previsto, con il comma 254, anche l’istituzione di un fondo per i caregivers familiari. Tale norma nella stesura originale prevedeva quanto segue:

“È istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. Il Fondo è destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare, come definito al comma 255.” Tale comma è stato sostituito dall’ art. 3 comma 1 del Decreto-Legge del 12 luglio 2018 n. 86, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 97. Il comma 254, quindi, nella stesura in attualmente in vigore prevede quanto segue: “E’ istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. Il Fondo e’ destinato alla copertura finanziaria di interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attivita’ di cura non professionale del caregiver familiare, come definito al comma 255. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ovvero del Ministro delegato per la famiglia e le disabilita’, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti i criteri e le modalita’ di utilizzo del Fondo.”

In base alla nuova stesura del comma 254 la gestione del Fondo è stata, quindi, riassegnata al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri.

E’ da notare, inoltre, che gli interventi non devono essere più di tipo “legislativo”, con la conseguenza che non tendono più a dare una disciplina completa e stabile della materia e potere così dare una base omogenea su tutto il territorio nazionale.

Infine, è stato previsto che i fondi siano utilizzati “sentita” la Conferenza Unificata ex art. 8 del D.Lgs. 281 del 1997.

La L. 30 dicembre 2018, n. 145 ha disposto, con l’art. 1 comma 483, che “Il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, di cui all’articolo 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e’ incrementato di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021”.

Con Decreto del 27 ottobre 2020 della Presidenza del Consiglio – Dipartimento per le politiche della famiglia acquisito il parere reso nella seduta del 16 ottobre dalla Conferenza Unica ex art. 8 del D.Lgs. 281 del 1997 sono stati dettati i criteri e le modalità di utilizzo delle risorse del “Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare per gli anni 2018 e 2019 pari complessivamente a euro 44.457.899,00, nonché, per l’anno 2020, pari a euro 23.856.763,00, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.

Le risorse di cui al comma 1 sono destinate alle regioni che le utilizzano per interventi di sollievo e sostegno destinati al caregiver familiare, di cui all’art. 1, comma 255, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, dando priorità:

-ai caregiver di persone in condizione di disabilità gravissima, così come definita dall’art. 3 del decreto 26 settembre 2016 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 novembre 2016, n. 280), recante «Riparto delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per le non autosufficienze, anno 2016», tenendo anche conto dei fenomeni di insorgenza anticipata delle condizioni previste dall’art. 3, del medesimo decreto;

-ai caregiver di coloro che non hanno avuto accesso alle strutture residenziali a causa delle disposizioni normative emergenziali, comprovata da idonea documentazione; -a programmi di accompagnamento finalizzati alla deistituzionalizzazione e al ricongiungimento del caregiver con la persona assistita.”

L’articolo 3 del Decreto prevede le modalità e i tempi entro i quali devono essere erogate le risorse ed in particolare tale cronoprogramma prevede che: -dalla data di pubblicazione in Gazzetta del Decreto (22 gennaio 2021) le regioni devono entro 60 giorni (quindi entro il 23 marzo 2021): -inviare al dipartimento per le politiche della famiglia la richiesta di trasferimento dei fondi stanziati in laro favore unitamente all’atto di adozione degli “specifici indirizzi integrati di programmazione per l’attuazione degli interventi di cui all’art. 1 ( rif. art. 3 commi 1, 2 e 3);

-entro 45 giorni dal ricevimento – da parte delle regioni – della richiesta ed indirizzi di cui al punto precedente, (quindi entro il 7 maggio 2021) il dipartimento per le politiche della famiglia:

-verifica la loro coerenza;

– ed eroga in unica soluzione le risorse destinate a ciascuna regione (rif. art. 3 comma 4);

-entro 60 gg. dalla ricezione delle risorse di cui al punto precedente (quindi entro il 6 luglio 2021), le regioni provvedono alla erogazione delle somme ai diversi ambiti territoriali interessati dagli interventi (rif. art. 3 comma 5).

Il Dipartimento per le politiche della famiglia provvederà a monitorare la realizzazione degli interventi finanziati.” Con riguardo agli anni 2021, 2022 e 2023 la legge n. 178/2020 (legge di bilancio 2021) (re)istituisce, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un fondo, con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno di tali anni.

L’art. 1 comma 334 della citata legge di stabilità prevede, infatti, che sia “istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo, con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attivita’ di cura non professionale svolta dal caregiver familiare, come definito dal comma 255 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205.

Da notare l’assegnazione del fondo al Ministero del lavoro e non più alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, soprattutto, la finalizzazione che è quella di copertura finanziaria per “interventi legislativi”; in altre parole si ritorna alla originaria versione del comma 254 della legge 205 del 2017.

Per completezza si ricorda che la predetta legge 178/2020 art. 1, commi 365 e 366, ha previsto un contributo per le madri di disabili disoccupate o monoreddito, stabilendo che “Alle madri disoccupate o monoreddito facenti parte di nuclei familiari monoparentali con figli a carico aventi una disabilità riconosciuta in misura non inferiore al 60 per cento, è concesso un contributo mensile nella misura massima di 500 euro netti, per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023. A tale fine è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023 che costituisce limite massimo di spesa.”

Tale, particolare, contributo, non ha alcuna relazione con la figura generale del caregiver familiare. Infine, appare utile segnalare che il Servizio Studi della Camera dei Deputati, con la scheda di lettura n. 141 del 25 febbraio 2021 denominata “La figura del caregiver nell’ordinamento itaiano” (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/AS0204.pdf), ha fornito interessanti dati statistici sui caregivcr in Italia, dove risulta che in media il 16,4% della popolazione si occupa di assistere un soggetto che ne ha bisogno, prevalentemente a livello familiare, e che le donne sono quelle che forniscono più assistenza rispetto agli uomini (18,4% in più).

E’ interessante rilevare anche che ad offrire cura e assistenza, soprattutto familiare, vi sono soggetti anziani, sarebbero, infatti, il 12, 8% i caregiver con età compresa tra i 65 e i 74 anni.

Benchè il presente approfondimento sia basato soltanto sulle definizioni contenute in atti normativi, appare interessante, per l’autorevolezza della fonte, riportare, anche, la definizione di caregiver contenuta nella sopra detta scheda di lettura del Servizio Studi della Camera dei Deputati.

“La figura del caregiver familiare (letteralmente “prestatore di cura’) individua la persona responsabile di un altro soggetto dipendente, anche disabile, di cui si prende cura in un ambito domestico. È colui che organizza e definisce l’assistenza di cui necessita una persona, anche congiunta, e in genere è un familiare di riferimento. Si distingue dal caregiver professionale (o badante), rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.”

Il Caregiver familiare nella legislazione della Regione Siciliana

In Sicilia con l’articolo 9 della legge regionale n. 8 del 2017 è stato istituito un Fondo Unico regionale per la disabilità e per la non autosufficienza in favore dei soggetti di cui all’articolo 3 comma 3 della legge 104 del 1992; nonché dei disabili gravissimi di cui all’articolo 1 della legge regionale n.4 del 2017 e dei disabili psichici gravi ricoverati nelle comunità alloggio.

Il “Fondo” finanzia le prestazioni ed i servizi socioassistenziali e socio-sanitari, non sostitutivi di quelli sanitari, Gli interventi a carico del “Fondo”, possono essere erogati mediante forme di assistenza diretta o indiretta, per le quali ciascun avente diritto esercita la propria scelta. Per le forme di assistenza, i soggetti destinatari dei trasferimenti monetari possono effettuare, anche in forma combinata, le seguenti opzioni:

a) soggetti accreditati di cui all’albo regionale delle Istituzioni socio-assistenziali pubbliche e private istituito ai sensi dell’articolo 26 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni;

b) operatori iscritti al registro pubblico degli assistenti familiari, istituito con decreto dell’Assessore regionale per la famiglia, le politiche sociali e il lavoro del 22 aprile 2010, ai sensi della legge regionale 31 luglio 2003, n. 1

c) operatori OSA e OSS;

d) caregiver. Per caregiver si intende il familiare convivente entro il secondo grado di parentela o affinità ai sensi del titolo V del libro I del codice civile, che si prende effettivamente cura della persona con disabilità.

Appare opportuno sottolineare che la definizione di care giver della legislazione regionale siciliana è più “sintetica” di quella prevista dalla legislazione statale e cioè quella del sopra riportato comma 255 della legge n. 205 del 2017.

In particolare si annota che, anche se è indiscutibile che la definizione si trovi nel contesto di una legge che riguarda i disabili gravi, la definizione ha pur sempre una sua specificità e non può non notarsi come, ad esempio, essa comprenda tutti i disabili, senza distinguere tra quelli gravi e quelli non gravi e senza alcun opportuno riferimento alla normativa statale.

Sembra, pertanto, che sia opportuno non considerare la definizione di caregiver familiare contenuta nell’articolo 9 della legge R.S. n. 8 del 2017 come una definizione a carattere generale, ovvero di “sistema”, che possa valere, cioè, per tutta la normativa regionale.

Con nota del 28 settembre 2020 – prot 28953/servizio 7, diretta a tutti i Distretti socio sanitari dell’isola, l’Assessorato della Famiglia delle Politiche sociali e del lavoro, Servizio 7 “Fragilità e Povertà”, ha comunicato, tuttavia, che tale fondo non è destinato ai caregiver familiari in quanto esso è vincolato esclusivamente all’erogazione di servizi nella forma diretta o indiretta e “l’applicazione della figura del caregiver familiare, infatti, trova copertura in un altro fondo”.

A tale riguardo con la stessa nota veniva comunicato ai Distretti socio-sanitari operanti in Sicilia che i competenti Ministeri stavano predisponendo lo schema di decreto sui criteri e modalità per l’utilizzo del Fondo per i Caregiver familiari, e cioè quello che poi sarà il Decreto 27 ottobre 2020, ed invitato i Distretti Sanitari di effettuare un monitoraggio su numero dei Caregiver familiari presenti nel proprio distretto.

Non è superfluo annotare che fino a poche settimane fa, a pochissimi giorni dalla scadenza del termine come fissato dal citato decreto (23 marzo 2021), ancora diversi Distretti socio sanitari della Sicilia non avevano adempiuto all’obbligo di trasmissione all’Assessorato alla famiglia della Regione siciliana del numero dei caregiver rientranti nel proprio distretto.

Si prefigurava, quindi, una disomogenea distribuzione delle risorse nell’ambito del territorio isolano, in relazione al grado di diligenza posseduta e messa in campo dal singolo D.S.S. ad elaborare e trasmettere i dati, nei termini e come richiesti formalmente dall’Assessorato alla famiglia.

Questo Ufficio, ha reso edotto di tale rischio l’Autorità Garante Regionale ed il Coordinamento H per i diritti delle Persone con disabilita della Regione Siciliana, che a loro volta hanno formalmente provveduto a sollecitare l’adempimento da parte dei DD.SS.SS. che non avevano ancora adempiuto. Ad oggi, questo Ufficio non è in grado di conoscere – malgrado i molteplici solleciti trasmessi da più parti- se tutti i Distretti socio sanitari abbiano ottemperato all’obbligo della trasmissione dei dati in disamina e se, pertanto, non si siano verificate le paventate ricadute negative sulle posizioni legittimanti dei caregiver rientranti nell’ambito territoriale degli eventuali Distretti socio sanitari eventualmente inadempienti.

Definizione della figura del Caregiver familiare nella legislazione di altre regioni

Per completezza si riportano la definizioni di caregiver familiare contenute in alcune leggi regionali che hanno previsto tale figura.

L’Emilia Romagna con la legge regionale 28 marzo 2014 n. 2 ha previsto la figura del caregiver definendolo all’articolo 2, come “la persona che volontariamente, in modo gratuito e responsabile, si prende cura nell’ambito del piano assistenziale individualizzato (di seguito denominato PAI) di una persona cara consenziente, in condizioni di non autosuffcienza o comunque di necessità di ausilio di lunga durata, non in grado di prendersi cura di sé. L’aiuto del caregiver familiare, in base alla situazione di bisogno della persona cara assistita, può caratterizzarsi in diverse forme. In particolare il caregiver familiare assiste e cura la persona ed il suo ambiente domestico, la supporta nella vita di relazione, concorre al suo benessere psicofisico, l’aiuta nella mobilità e nel disbrigo delle pratiche amministrative, si integra con gli operatori che forniscono attività di assistenza e di cura. 3. Nello svolgimento di tali attività il caregiver familiare può avvalersi dei servizi territoriali e di lavoro privato di cura. 9 Inoltre è previsto (art. 3) che I servizi sociali dei Comuni e i servizi delle Aziende sanitarie riconoscono il caregiver familiare come un elemento della rete del welfare locale e gli assicurano il sostegno e l’affiancamento necessari a sostenerne la qualità dell’opera di assistenza prestata.

La Regione, inoltre promuove forme di sostegno economico attraverso l’erogazione dell’assegno di cura e di interventi economici per l’adattamento domestico, come previsto nell’ambito della normativa vigente per i contributi per la non autosufficienza, anche alle persone assistite domiciliarmente dai caregiver familiari; può favorire accordi con le rappresentanze delle compagnie assicurative che prevedano premi agevolati per le polizze eventualmente stipulate dal caregiver familiare che opera nell’ambito del PAI per la copertura degli infortuni o della responsabilità civile collegati all’attività prestata; promuove intese ed accordi con le associazioni datoriali, tesi ad una maggior flessibilità oraria che permetta di conciliare la vita lavorativa con le esigenze di cura;

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La Regione Puglia con l’articolo 2 della legge regionale 27 febbraio 2020 definisce il caregiver familiare come “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della l. 104/92, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili).”

Lo stesso articolo stabilisce, al comma 3, che “Il caregiver familiare opera in modo volontario, gratuito e responsabile nell’ambito del PAI (Piano Assistenziale Individalizzato) per le persone disabili e per le persone anziane non autosufficienti, di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). E’ previsto altresì che “Il PAI esplicita il contributo di cura e le attività̀ del caregiver familiare nonché́ le prestazioni, gli ausili, i contributi necessari e i supporti che i servizi sociali e sanitari si impegnano a fornire, al fine di permettere al caregiver familiare di affrontare al meglio possibili difficoltà o urgenze, e di svolgere le normali attività̀ di assistenza e di cura in maniera appropriata e senza rischi per l’assistito e per sé medesimo. Allo scopo di favorire il mantenimento della persona assistita al proprio domicilio, il caregiver familiare, previo consenso della persona assistita, deve essere coinvolto in modo attivo nel percorso di valutazione, definizione e realizzazione del PAI e assume gli impegni che lo riguardano, concordati nel PAI stesso.”

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La Regione Toscana per la definizione di Caregiver familiare rinvia alla legislazione nazionale e, precisamente al comma 255 della legge n. 205 del 2017, così come si evince dalla Delibera della Giunta Regionale del 8 marzo 2021 e dal relativo allegato A di riparto delle somme previste dal DM 27 ottobre 2020.

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Nella regione Campania la L.R. 20 novembre 2017, n. 33 prevede che “Il caregiver familiare, scelto dalla persona da assistere oppure dal suo tutore, in primo luogo tra i familiari ed i conviventi, è la persona che si prende cura nell’ambito del Progetto Individuale per le persone disabili, di seguito denominato Progetto Individuale, di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), di una persona consenziente, non autosufficiente o comunque in condizioni di necessario ausilio di lunga durata, non in grado di prendersi cura di sé. Il caregiver familiare assiste e si prende cura della persona e del suo ambiente domestico, la supporta nella vita di relazione, concorre al suo benessere psico-fisico, l’aiuta nella mobilità e nel disbrigo delle pratiche amministrative e si rapporta e si integra con gli operatori del sistema dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari-professionali che forniscono attività di assistenza e di cura.”

E’ da segnalare che la Campania, con Delibera di Giunta n. 124 del 23 marzo 2021, è stata probabilmente la prima Regione a programmare un proprio co-intervento finanziario, per pervenire nei tempi previsti alla realizzazione degli interventi per il riconoscimento ed il sostegno del ruolo del caregiver familiare nell’ambito della rete di assistenza alla persona, con “risorse complessive per € 12.000.000,00 a valere sulle risorse stanziate in favore dell’amministrazione regionale dal Ministro per le pari opportunità e la famiglia nell’ambito del Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, in ossequio a quanto previsto dal Decreto del 27 ottobre 2020, nonché a valere sulle risorse afferenti al POR Campania FSE 2014/2020; ripartire le somme previste dal D.M. 27 ottobre 2020 ed in tal caso si è fatto rinvio alla definizione di caregiver familiare prevista dal comma 255 della legge n. 205 del 2017”.

Inoltre con la medesima delibera è stato istituito un Registro Regionale dei Caregiver familiari.

Definizione e rispetto dei tempi previsti dal Decreto 27 ottobre 2020.

Come già avanti precisato il Decreto interministeriale del 27 ottobre 2020 disciplina i criteri e le modalità di utilizzo delle risorse del fondo per il sostegno del ruolo di cura e assistenza del caregiver familiare per gli anni 2018-2019-2020.

Tali risorse devono essere erogate entro precisi termini stabiliti dal citato Decreto Interministeriale. Qui di seguito il link che rinvia al quadro sinottico della tempistica declinata dal citato Decreto:

vai alle notizie del 15 marzo 2021. http://www.ufficionazionalegarantedisabili.org/home_34.html .

Conclusioni

Allo stato attuale non vi è ancora una disciplina compiuta della figura del caregiver familare e vi sono numerose proposte di interventi normativi da parte delle organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità. Tali proposte, o meglio tali spunti di riflessione per il legislatore, sono ben compendiate nel sito www.handylex.org che prevede, oltre ad una imprescindibile seria tutela previdenziale ed assicurativa per i caregiver, anche:

“1. la valorizzazione del caregiver quale perno attorno a cui far ruotare servizi, interventi, prestazioni da garantire alla persona con disabilità all’interno di un più ampio progetto di vita della stessa, che permetta a quest’ultima di vivere tutti i suoi ambienti di vita con i giusti supporti e sostegni, incluso quello del suo caregiver;

2. concreti interventi di supporto al caregiver, onde consentirgli di poter essere realmente il “facilitatore” della persona con disabilità nella fruizione dei vari servizi e nella partecipazione nella società, permettendogli di avere a sua volta spazi personali (tutelando anche il diritto a perseguire propri interessi e sviluppi lavorativi e/o familiari) o tutele di tipo previdenziale ed assicurativo che fungano da contrappesi alla dedizione, alle rinunce e ai rischi che il caregiver vive nella sua costante attività di cura ed assistenza;

3. la libertà di scelta da parte della persona con disabilità del familiare che debba assumere la qualifica di caregiver, nel novero di quelli più strettamente legati ad esso (semmai anche da un rapporto di convivenza, come si dirà meglio infra);

4.di evitare il rischio di rendere il rapporto persona con disabilità/caregiver esclusivo e quindi segregante ed a rischio di emarginazione sociale;

5. di evitare per lo stesso caregiver forme di isolamento familiare, l’abbandono dell’attività lavorativa e la marginalizzazione sui posti di lavoro e nelle relazioni sociali causate dall’attività del prendersi cura;

6. una maggiore attenzione per i caregiver di lunga durata (soprattutto i genitori di persone con disabilità) che prestano tale attività per una gran parte della propria vita, rispetto a chi svolge attività di cura per una piccola fase della propria vita per una malattia, pur a volte infausta, dall’andamento però abbastanza rapido o di medio termine (alcuni mesi/anni), per cui si riesce in tal periodo comunque a contenere, seppur con grandi sacrifici e con alcune agevolazioni previste dal nostro sistema (congedo biennale dal lavoro, ecc..) l’intero assetto personale e familiare;

7. di evitare che il sistema di welfare arretri delegando (se non addirittura “scaricando”) sul caregiver l’intero carico assistenziale e di promozione di sviluppo della persona con disabilità, a fronte semmai del riconoscimento di alcuni benefici fiscali o di una semplice indennità in favore di quest’ultimo;”

8. la previsione di sistemi di intervento compensativi o di emergenza nel caso di circostanze eccezionali (ricovero ospedaliero urgente del caregiver) ovvero di eventi di grande impatto come quello pandemico (con isolamento in caso del caregiver e suo familiare) o di cataclismi naturali (terremoti o altre situazioni di emergenza naturale).

Inoltre, questo Ufficio, nel quadro della imminente riforma della Pubblica Amministrazione, auspica che gli Enti preposti a rispettare un termine fissato dalla legge, entro il quale deve essere erogato un beneficio alla Persona con disabilità o al suo caregiver, non continuino a valutare, sempre e comunque, tali termini meramente dilatori a fronte dei quali non sussisterebbe alcuna responsabilità in capo al Dirigente della struttura che si rivela fortemente ritardataria o vistosamente inadempiente.

Infine è da sottolineare che, come visto sopra, il servizio prestato dal caregiver familiare è ritenuto sia dalla legislazione statale vigente, e cioè dal comma 255 della legge 205 del 2017 che dalle leggi regionali essenzialmente gratuito.

Tuttavia, de iure condendo occorre del pari rilevare che tale impostazione legislativa non tiene in minimo conto la realtà in cui deve vivere ed operare il caregiver familiare, e cioè quella di una persona che dedica la sua vita, forse è meglio dire che rinuncia alla sua vita, per accudire una persona cara.

 

A cura della Sezione normativa e consulenza

 


Agenzia delle Entrate 

La Guida aggiornata alle agevolazioni fiscali per le Persone con disabilità

 

Al fine di favorire la mobilità, potenziare l’assistenza sanitaria, facilitare gli scambi e l’interazione sociale e, più in generale, migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, la normativa tributaria riconosce a tali Persone  una serie di agevolazioni fiscali.

In particolare, l’Agenzia delle entrate, con la recente “Guida alle agevolazioni fiscali per le persone con disabilità” (consultabile nel sito internet dell’Agenzia), ha indicato, tra le altre, delle ipotesi agevolative nell’ambito delle detrazioni per figli a carico, del settore auto, degli acquisti di mezzi di ausilio e sussidi tecnici ed informatici, agevolazioni per non vedenti e per l’eliminazione delle barriere architettoniche.

Relativamente alle detrazioni per figli a carico, appare opportuno ricordare che una persona si considera fiscalmente a carico di un suo familiare quando dispone di un reddito familiare complessivo uguale o inferiore a euro 2.840,51, al lordo degli oneri deducibili. Esclusivamente per i figli di età non superiore a 24 anni, dal 1° gennaio 2019, questo limite è aumentato a euro 4.000. Oltre all’ordinario importo detraibile, è previsto per il figlio disabile, riconosciuto tale ai sensi della legge n. 104/92, una ulteriore somma di euro 400.

Con riguardo al settore auto, i benefici consistono nell’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 4% e nella detrazione IRPEF del 19% che va calcolata su una spesa massima di 18.075 euro. Altre agevolazioni riguardano l’esenzione del bollo auto e dell’imposta di trascrizione che, in Sicilia, vengono, tuttavia, gestite dagli enti locali.

Possono godere di tali benefici i non vedenti e i non udenti, le persone con un grave handicap psichico o mentale (rientra nella categoria chi è affetto da sindrome di Down) tale da avere l’indennità di accompagnamento e i soggetti con serie limitazioni della capacità di deambulazione o delle capacità motorie.

In particolare, per i disabili con ridotte o impedite capacità motorie la realizzazione di adattamenti al sistema di guida, alla carrozzeria o alla sistemazione interna del veicolo (per esempio: pedana sollevatrice, scivolo a scomparsa, braccio sollevatore, sedile e sportello scorrevole, sistema di ancoraggio della carrozzella) è una condizione indispensabile per poter richiedere i benefici in argomento. Non è necessario, comunque che il disabile fruisca dell’indennità di accompagnamento. La natura motoria della disabilità deve essere annotata sull’apposita certificazione.

L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 11/E del 21 maggio 2014, ha chiarito, comunque, che nel caso di minore, riconosciuto portatore di handicap in condizioni di gravità che, ai fini delle agevolazioni fiscali in commento, è riconosciuto soggetto con ridotte o impedite capacità motorie permanenti, senza altre indicazioni al riguardo, potrà fruire dell’aliquota iva ridotta anche senza adattamento del veicolo.

Con riguardo alla tipologia dei veicoli agevolabili e alla documentazione da produrre al venditore, si rinvia alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella richiamata “Guida”.

Oltre alla detrazione IRPEF del 19%, è prevista l’applicazione dell’aliquota IVA del 4% per l’acquisto di quei mezzi necessari all’accompagnamento, alla deambulazione e al sollevamento delle Persone con  disabilità ( cc.dd. “mezzi di ausilio”). Sono da ricomprendere tra gli stessi servoscale, poltrone e tutti quei mezzi che consentano ad una persona con ridotte o impedite capacità motorie, il superamento di barriere architettoniche.

Viene, inoltre, agevolato l’acquisto di sussidi tecnici ed informatici atti a facilitare l’autosufficienza e l’integrazione dei portatori di handicap di cui all’articolo 3 della legge n. 104/92. Tali sussidi (computer, fax, modem etc..) devono essere utilizzati a beneficio di persone limitate da menomazioni permanenti di natura motoria, visiva, uditiva o del linguaggio. Per fruire dell’aliquota IVA ridotta è necessario produrre una certificazione attestante l’invalidità funzionale permanente rilasciata dalla ASL competente o dalla commissione medica integrata. Da tali certificazioni deve risultare il collegamento funzionale tra la menomazione permanente e il sussidio tecnico informatico, in caso contrario dovrà prodursi una certificazione del medico curante atta allo scopo.

Agevolazioni per soggetti non vedenti: spese sostenute per l’acquisto e il mantenimento di cani guida e per l’acquisto di specifici prodotti editoriali.

E’ possibile fruire della detrazione Irpef del 19% e dell’Iva al 4% per l’acquisto di mezzi necessari per l’accompagnamento, la deambulazione e il sollevamento (quali trasporto in ambulanza, poltrone specifiche, arti artificiali, costruzione di rampe per eliminare le barriere architettoniche, adattamento ascensore)

Relativamente alle modalità e ai limiti di detrazione delle spese mediche, assistenza specifica, riabilitazione, servizi di interpretariato per i sordi, cani guida ed eliminazione di barriere architettoniche, si rinvia alle istruzioni relative alla compilazione del modello della dichiarazione 2021 e alla relativa appendice.

Superbonus 110% Per le spese sostenute dal 1° gennaio 2021 per gli interventi finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche, effettuati per favorire la mobilità interna ed esterna all’abitazione alle persone portatrici di handicap in situazione di gravità, è possibile usufruire del “Superbonus” (detrazione del 110%).

Per richiedere tale agevolazione è però necessario che questi lavori siano eseguiti congiuntamente a interventi di isolamento termico delle superfici opache o di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti (cosiddetti interventi trainanti).

Inoltre, in alternativa alla detrazione, è possibile optare per la cessione ad altri soggetti del credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante o per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, di importo massimo non superiore al corrispettivo stesso, anticipato dal fornitore di beni e servizi relativi agli interventi agevolati (cosiddetto sconto in fattura).
Per consultare la guida: https://www.disabili.com/images/pdf/Guida-agevolazioni-fiscali-disabili.pdf


                                                                                                                                                                   Sergio Damiani




IVA 
agevolata sulle auto anche con documenti presentati dopo l’acquisto.

Risposta Interpello n. 69 dell’1 febbraio 2021.
 

L’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 (decreto Iva) regola i casi in cui, sia avvenuta una variazione dell’imponibile o dell’imposta a causa di eventi che modificano il rapporto già concluso oppure se vi siano stati errori nella fatturazione, registrazione o liquidazione dell’imposta.

Le variazioni possono essere in aumento o in diminuzione; le prime (articolo 26 comma 1) sono sempre obbligatorie, le seconde (articolo 26 comma 2) sono facoltative e possono essere effettuare soltanto in casi ben determinati, generalmente per vizi originari sopravvenuti, in clausole contrattuali o per espressa norma di legge come in caso di fallimento.

Con la risposta all’interpello n. 69 dell’1 febbraio 2021 l’Agenzia delle Entrate ha applicato la disposizione dell’articolo 26 comma 2 e, cioè, variazione in diminuzione, al caso di una persona disabile con handicap grave che aveva acquistato un autovettura senza chiedere l’applicazione delle agevolazioni di legge previste, in particolare, per quello che qui interessa, l’aliquota Iva ridotta del 4%, in quanto era in attesa di ricevere la documentazione idonea.

Con la circolare n. 197 del 1998, l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito che la documentazione necessaria per potere usufruire della predetta agevolazione doveva essere prodotta al momento dell’acquisto.

Con la risposta ad interpello in esame, invece, l’Agenzia “apre” alla possibilità di presentare la documentazione anche successivamente e potere così usufruire dell’agevolazione anche nel caso in cui la cessione, ai fini Iva, sia da considerare conclusa, a condizione, però, che i requisiti previsti dalla legge esistessero già al momento dell’acquisto.

A tale scopo occorre che il cedente (venditore) applichi quanto previsto dall’articolo 26 comma 2 e cioè che effettui una variazione in diminuzione e possa così rimborsare la differenza dell’imposta all’acquirente in possesso della documentazione prevista dalla legge.

Tuttavia, occorre sottolineare che il venditore non ha l’obbligo di effettuare tale variazione ma soltanto la “facoltà”, ed in ogni caso tale variazione deve essere effettuata entro un anno dal momento della cessione, come previsto dall’articolo 26 comma 3 del d.P.R. 633/72.
Ove, come nel caso sottoposto ad interpello, dovesse essere trascorso un anno, l’Agenzia delle Entrate, nella sua risposta ricorda che il cedente (venditore) ha sempre la facoltà di potere comunque richiedere il rimborso dell’imposta pagata in più, ai sensi dell’articolo 30-ter d.P.R. n. 633/72, introdotto dall’articolo 8 della legge 167 del 2017, entro due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto per la restituzione, così da poterla rimborsare al cessionario (acquirente).

                                                                                                                       
                                                                                           Ettore Trizzino

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Adempimenti per il consenso alla somministrazione della vaccinazione contro il covid 19 e consenso informato per pazienti interdetti, inabilitati e sottoposti ad amministrazione di sostegno.

Anche il Tribunale di Palermo, con nota del 7 gennaio 2021, si è espresso in merito agli adempimenti per il consenso alla somministrazione della vaccinazione contro il Covid 19 e consenso informato per pazienti interdetti, inabilitati e sottoposti ad amministrazione di sostegno. Sulla base del Decreto Legge 5 gennaio 2021 art. 5, il consenso alla somministrazione del vaccino anti Covid 19 (e agli altri trattamenti sanitari) è comunicato per mezzo del tutore, curatore o amministratore di sostegno, ovvero del fiduciario (Legge 219/2017 art. 4) nel rispetto della volontà del soggetto incapace dove già espressa o quanto presumibilmente avrebbe espresso. Nel momento in cui la persona incapace non abbia formulato disposizioni anticipate di trattamento , o non vi siano familiari fino al terzo grado di parentela, o non siano stati reperiti, o ancora non abbiano voluto esprimere la volontà dell’interessato, il direttore sanitario della struttura in cui è ospitato o il direttore sanitario dell’ASL territorialmente competente sono chiamati ad inoltrare via pec il modulo di consenso, al fine di ottenere la convalida entro 48h o di attendere comunque il decorso di tale termine. In questi casi, il direttore sanitario dovrà fare ricorso al Giudice Tutelare, al quale vanno allegati i documenti comprovanti la sussistenza dei presupposti, quali l’incapacità del soggetto di esprimere la sua volontà e la situazione familiare nel caso in cui manchino i parenti fino al terzo grado di parentela per esprimere il consenso. Risulta, pertanto, importante che i soggetti abilitati a prestare il consenso informato sono: gli interessati da soli nel caso in cui siano capaci di intendere e di volere; gli interessati assistiti da amministratore di sostegno, tutore o curatore nel caso di limitazione della capacità naturale; l’amministratore di sostegno e tutore in caso di sostituzione necessaria nelle scelte mediche stabilita nel decreto di nomina o decreti integrativi successivi; i Direttori Sanitari o i responsabili medici delle RSA e in loro assenza i Direttori Sanitari delle ASL (ATS) o i delegati di questi ultimi in caso di incapacità naturale degli interessati privi di sostegno o tutela o di irreperibilità dell’amministratore o tutore. Risulta altrettanto importante che in caso di dissenso dei parenti, il direttore sanitario della RSA o dell’ASL può richiedere, con ricorso al Giudice Tutelare, di effettuare comunque la vaccinazione, nel pieno rispetto del fondamentale diritto dell’individuo della tutela alla salute (art. 32 Cost.).                                                                                                                                                                                                                                                   Ilaria Falliti

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La Chiesa ha l’obbligo di rendere accessibili i luoghi di culto

Tutte le persone, disabili e non, devono potere accedere autonomamente ai luoghi di culto.

L’obbligo nasce da una precisa disposizione normativa, vale a dire il Decreto Ministeriale 236/89, che all’articolo 3, punto 3.4, lettera d), dispone che“nelle unità immobiliari sedi di culto il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata ai fedeli per assistere alle funzioni religiose è accessibile”. E successivamente il punto 5.4 testualmente prevede che i luoghi per il culto debbano avere “almeno una zona della sala per le funzioni religiose in piano, raggiungibile mediante un percorso continuo e raccordato tramite rampe.

A tal fine si devono rispettare le prescrizioni di cui ai punti 4.1., 4.2, 4.3, atte a garantire il soddisfacimento di tale requisito specifico

I parroci dovrebbero astenersi dall’organizzazione all’interno del luogo di culto di eventi vari o riunioni aperte a tutti (incontri culturali in genere, spettacoli di musica sacra, presentazioni di libri e altro ancora), fino a quando la chiesa non sia accessibile a tutti (persone disabili e non disabili), Altrimenti si rimarcherebbe un forte momento di disattenzione verso il principio di parità di trattamento e si realizzerebbe un comportamento apertamente discriminatorio, oggi sanzionato dalla Legge 67/06 [“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, e conclamato dalla giurisprudenza in materia.

In mancanza si potrebbe anche ricorrere all’Autorità Giudiziaria,per la rimozione forzata della barriera architettonica.

L’handicap non nasce con la persona con deficit, ma è solo il frutto dell’impatto tra la condizione di disabilità e la struttura sociale in cui si vive.

La Chiesa come istituzione non può comportarsi come il comune Cittadino, normalmente disattento al disagio della persona con deficit.

Essa infatti, a prescindere dalla sua funzione istituzionale proiettata verso l’accoglienza di tutte le persone che intendono frequentare il luogo di culto,deve riconoscere a tutti, disabili e non,il diritto a condurre una “vita indipendente” anche sul piano della propria professione di fede.

Se non favorisce, quindi, l’accessibilità generalizzata ai propri luoghi di culto, finisce per realizzare un comportamento diametralmente opposto, diretto alla non accoglienza e all’emarginazione.

Non vi è dubbio, in tal senso, che in questi casi la persona con disabilità motoria venga privata della possibilità di professare e partecipare alle varie funzioni religiose.
E’ fortemente auspicabile che una persona in carrozzina o comunque con seri problemi motori non debba rinunciare a presenziare alla celebrazione di matrimoni, battesimi, cresime, funerali di parenti o amici, perché il luogo di culto in cui si svolgono tali funzioni è di fatto inaccessibile.                                                                                                                                                                                                                                                                             Salvatore Di Giglia
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La V sezione della Cassazione rimette alla Sezioni Unite la questione dell’esenzione dal pagamento del Contributo Unificato da parte delle Associazioni di volontariato e delle Onlus.

Secondo un costante orientamento della Suprema Corte le associazioni di volontariato e le Onlus non possono godere del beneficio dell’esenzione dal pagamento del Contributo Unificato ex articolo 10 del d.P.R. 115 del 2002 (tra le altre: Cass. 6434/2019; Cass. 14332/2018), anche se occorre rilevare che una parte della giurisprudenza di merito non ha seguito questo indirizzo.

Con due articolate e ben motivate ordinanze interlocutorie “gemelle”, entrambe del 31 luglio 2020, (Cass.16506/2020; Cass. 16507/2020), la sezione V “ripensa” la tesi sin qui seguita e si chiede se le associazioni di volontariato e le Onlus, che hanno tra le loro attività istituzionali quella di tutelare in sede giudiziaria gli interessi riconosciuti di particolare rilevanza dallo Stato, siano esenti dal pagamento del contributo unificato in base al combinato disposto dell’articolo 10 d.P.R. 115/2002 e dell’articolo 8 della legge quadro sul volontariato (L. n. 266 del 1991), ovvero se, invece, i predetti soggetti devono pagare il contributo unificato anche per le attività giurisdizionali connesse allo svolgimento delle attività statutarie.

L’indirizzo che nega l’esenzione dal pagamento del contributo unificato è costante nel ritenere che le Associazioni di volontariato e le Onlus non sono esenti dal pagamento del contributo unificato, sia in base al rinvio contenuto nell’articolo 10 del d.P.R. 115/2002, che esenta i procedimenti già esenti dall’imposta di bollo (d.P.R. 642/72), sia perchè l’esenzione prevista dal predetto contributo è giustificabile in base ad un criterio di meritevolezza, in funzione della solidarietà sociale, dell’oggetto del giudizio e non in considerazione della qualità del soggetto.

Il profilo ermeneutico più pregnante è, però, quello relativo al rinvio all’imposta di bollo. Esso si basa sostanzialmente sull’assunto che il predetto articolo 10 del d.P.R. 115/2002 prevede l’esenzione per il “… processo già esente … dall’imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura …”.

Tale norma, quindi, richiamerebbe la disciplina dell’imposta di bollo che, all’articolo 12 della tabella allegata al d.P.R. 642/72 elenca i processi esenti dall’imposta, mentre al successivo articolo 27 bis, della medesima tabella, prevede l’esenzione per gli atti, documenti, istanze, contratti, copie conformi, certificazioni dichiarazioni e attestazioni, poste in essere o richieste dalle Onlus.

Secondo l’interpretazione consolidata della Cassazione, l’art. 27 bis citato però, si riferirebbe soltanto agli atti amministrativi e non a quelli giudiziari, e il predetto articolo 12 elenca in modo espresso i procedimenti giurisdizionali esenti dall’Imposta di bollo, tra i quali non sono compresi quelli specificamente relativi alle Onlus o alle Associazioni di volontariato.

Neppure l’articolo 8 della legge 266 del 1991 (legge quadro sul volontariato) può essere invocato per esentare dall’imposta di bollo gli atti giudiziari delle Onlus e delle Associazioni di volontariato in quanto anch’esso si riferisce soltanto agli atti amministrativi.

Le ordinanze di rimessione in commento, invece, ritengono che deve darsi una diversa lettura in base alla quale, fermo restando che l’articolo 27 bis della Tabella allegata al d.P.R. 642/72 si riferisce agli atti amministrativi e non a quelli giudiziari, deve ritenersi che il “rinvio mobile” operato dall’articolo 10 del d.P.R. 115/2002 ai processi già esenti può riferirsi ad altre norme esentative dall’imposta di bollo di procedimenti giurisdizionali e non, quindi, soltanto all’articolo 12 della tabella allegata al d.P.R. 642/72.

Per l’esattezza all’esenzione dell’iscrizione a ruolo, dato che è questo l’atto che realizza il presupposto d’imposta richiesto dall’articolo 9 del d.P.R. 115/2002 per il pagamento del contributo unificato.

In particolare, il “rinvio mobile” previsto dal citato articolo 10 sarebbe, proprio, all’articolo 8 della legge 266/1991, secondo il quale “Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato di cui all’articolo 3 , costituiti esclusivamente per fini di solidarietà e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall’imposta di bollo e dall’imposta di registro”.

Pertanto, secondo questa diversa interpretazione, occorre prendere atto che tale norma prevede l’esenzione di tutti gli atti connessi allo svolgimento delle attività ai fini solidaristici delle Onlus, senza distinguere tra attività amministrative e processuali, dove l’unico requisito richiesto ai fini dell’esenzione dall’Imposta di bollo è la correlazione con le attività istituzionali dell’ente indipendentemente dalla natura dei documenti.

Ne consegue che, dal combinato disposto dell’articolo 10 del d.P.R. 115/2002 (processi già esenti ..) e dell’articolo 8 della legge 266/1991, si ricaverebbe grazie al meccanismo del “rinvio mobile” che gli atti processuali (iscrizione a ruolo) delle Associazioni di volontariato e delle Onlus sarebbero esenti dal Contributo Unificato a condizione che siano connessi all’attività istituzionale svolta.

Quest’ultima normativa è stata abrogata dal D.Lgs. 117 del 2017, vigente, tuttavia, all’epoca dei fatti oggetto delle due ordinanze in commento.

La ricostruzione effettuata dalle due ordinanze, quindi, si basa, sostanzialmente, sul rinvio ad una legge abrogata e, anche se non espressamente esplicitato, il collegamento che, invece, renderebbe attuale e operativa l’esenzione sarebbe nella dizione della legge che rinvia ai processi già esenti dall’imposta di bollo.

L’avverbio già “fisserebbe”, quindi, nel tempo l’articolo 8 della legge 266/1991 che, interpretato nel senso sopra detto, consentirebbe di esentare dal contributo unificato le iscrizioni a ruolo delle Associazioni e delle Onlus per gli atti relativi alle attività istituzionali.

Questo passaggio è fondamentale nella ricostruzione effettuata con le due ordinanze, ed avrebbe meritato un approfondimento maggiore, anche perchè nel D.Lgs. n. 117 del 2017 non si riscontrano norme di coordinamento con la legge 266/1991, se non la sua espressa abrogazione.

A margine si annota, infine, che secondo le ordinanze in commento la ratio di tale esenzione è quella … di alleviare il peso dell’imposizione sugli atti che realizzano l’attività dell’associazione, in un ottica di solidarietà dello Stato con gli scopi di interesse pubblico connessi al riconoscimento dell’associazione come “associazione di volontariato” e con tutela delle categorie sociali deboli da esse rappresentate.

Un’attenta analisi e valutazione dell’importanza del “privato sociale”.
 

                                                                                                                         Ettore Trizzino

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